Una delle cose più difficili con le quali si deve imparare ad avere a che fare, quando si entra nel digitale, è la sindrome dell’impostore.
La sindrome dell’impostore è un termine coniato nel 1978 dalle psicologhe Pauline Clance e Suzanne Imes per descrivere la condizione di molte persone che, pur essendo di successo, hanno il timore di non essere meritevoli dei risultati raggiunti.
In particolare, si sottostimano i propri risultati, che vengono imputati per lo più al caso, alla fortuna, alla semplicità della vicenda, ecc. Si rifiutano occasioni perché non ci si reputa all’altezza.
Chi ne è affetto vive con l’ansia che gli altri si accorgano che non è bravo quanto si dice che lo sia e che anche il più piccolo degli errori possa far crollare tutto e portare la persona alla rovina.
Vi lascio un articolo che spiega piuttosto bene la situazione e immagino che molti si siano trovati in questa situazione.
Io ci sto lavorando moltissimo su questo aspetto, perché mi rendo conto a volte di rifiutare delle occasioni perché “non mi sento all’altezza” e poi di scoprire che in realtà quello che il cliente voleva era qualcosa che sarei stata in grado di fare.
Siamo così ossessionati dall’eccellenza e dalla perfezione che perdiamo di vista le esigenze del cliente che magari sono più modeste.
Siamo circondati da siti ed esperti che propongono l’eccellenza che ci fanno venire il dubbio che se non abbiamo un Master o una certificazione per ogni nostra competenza non possiamo promettere niente.
Al contempo è pieno di ciarlatani che la paura di finire per sbaglio in quel gruppo è sempre altissima.
Come funziona in concreto
Vi faccio un esempio di come funziona questa trappola con un aneddoto.
Il mese scorso la mia referente editoriale del blog con cui collaboro mi aveva chiesto via Skype di fissare una call per discutere della nostra collaborazione.
Abbiamo fissato l’appuntamento per la settimana successiva. Fino al momento della telefonata, con un crescendo di ansia e senso di inadeguatezza, ho pensato che non fossero contenti della collaborazione.
Credevo che i miei articoli non fossero all’altezza delle loro aspettative e che impiegassi troppo tempo per scrivere gli articoli, ecc. ecc.
Invece, la mia referente voleva solo farmi i complimenti e chiedermi la disponibilità per diventare revisore di articoli scritti dai nuovi blogger. Secondo lei ero uno degli autori con la maggiore pazienza e attenzione ai dettagli (che per me era solo paura di scrivere inesattezze).
La mia risposta è stata “Wow!” e mi sono imposta di valutare con obiettività ogni proposta che mi viene offerta senza lasciarmi influenzare dalla sindrome dell’impostore.
Credo che sia molto comune non sentirsi sicuri quando si esce dalla propria comfort zone. Quando provi a sperimentare modi nuovi di lavorare e scopri materie nuove.
È una condizione molto sfidante, ma le soddisfazioni che arrivano ripagano dell’ansia. E in fondo, molti hanno scelto questo percorso perché volevano percorrere strade nuove ed essere più liberi.
Credo che la differenza la faccia l’onestà e la trasparenza nella relazione con il Cliente e l’impegno nell’esecuzione del lavoro. Soprattutto in professioni dove i risultati non si possono certificare e garantire perché dipendono sempre dal comportamento umano.